
Raffaello, il Principe delle arti, proiettato al teatro Subasio di Spello per il Festival del Cinema 2018
di Stella Carnevali
Inaugurato sabato 24 febbraio. Diventato rapidamente famoso per la scelta, un’idea della presidente Donatella Cocchini, di creare una rassegna sulle professioni del cinema. Su tutto quello che non si vede, ma che partecipa forse più che a pari merito con attori e registi, al prodotto finito. Con tante iniziative durante l’anno, ma è nella settimana top che spiccano alcuni eventi collaterali.
Come le mostre, quest’anno sulla storia dei Baci nel cinema e sulle opere di Raffaello, una magistrale riproduzione di dieci opere della bottega tifernate di Stefano Lazzari esposte nel cinquecentesco palazzo comunale della città.

Veniamo al film, forse un documentario con degli inserti di fiction, e lunghe prolusioni di un trittico di super critici d’arte: Antonio Paolucci, Antonio Natali e Vincenzo Farinella. Forse a legittimare la poca consistenza della sceneggiatura che, non solo, scontorna Raffaello dal contesto storico, ma salta a piè pari anche città e regioni come Perugia, Città di Castello e l’Umbria.
In un’ora e 35 minuti viene detto che era stato a bottega da Perugino. Punto, punto e fine.
Ma tutto su Urbino, Firenze, e soprattutto Roma. Del resto quasi tutte le botteghe degli artisti del Rinascimento hanno lavorato alla fabbrica di San Pietro, la concentrazione massima della committenza per alcuni secoli.
Così Perugino resta sullo sfondo come brutta copia, nello Sposalizio della Vergine, in cui Raffaello lo supera. Niente di Pintoricchio di cui era amico e che conosce proprio nella bottega di Perugino. Pintoricchio che lo chiama a lavorare con lui a Siena e che a Spello (1501) aveva già affrescato quell’incredibile Cappella Bella, la chiamano così, un capolavoro che, dopo due minuti di contemplazione, diventa art-terapy.
L’importanza del contesto storico. Tanto per dirne una: se non fosse morto Papa Alessandro VI (il Borgia) le cui stanze erano state dipinte da Pintoricchio. E se non gli fosse succeduto Giulio II (un Della Rovere) che tanto aveva disprezzato il lato libertino del suo predecessore. Al punto da far ricoprire con tessuto da parati le stanze dipinte da Pintoricchio, licenziandone tutta la bottega. Per chiamare Raffaello a farsi dipingere la nuova residenza al piano superiore. Senza questi eventi forse Raffaello farebbe ancora a lungo la spola, tra Perugia e Firenze.
In compenso l’arte dell’immagine, chapeau al Direttore della fotografia e del montaggio, permette un impatto quasi inclusivo dello spettatore. Un’esperienza a parte dell’opera di Raffaello, certo non alternativa a visite dal vero, ma con la capacità di intervenire su dettagli e ingrandimenti, che l’altezza degli edifici in cui sono state realizzate le opere, impedisce di cogliere.
Naturalmente nel docu-fiction oltre a Raffaello c’è solo Leonardo e Michelangelo. Una parata di big la cui colpevole origine è da rintracciare nelle simpatie umorali del Vasari, il primo cronista della storia dell’arte.
Il podio è da tre come si conviene alle competizioni, tre le medaglie. Per fortuna non distribuite apertamente, anche se dal titolo “Raffaello, Il Principe dell’arti” sembra che quella d’oro venga appesa al collo all’artista urbinate. Ancora chapeau a questo Festival che permette di distinguere il packaging dal contenuto nel caso in cui, come questo, si rivelino estranei l’uno all’altro.
***“Raffaello, Il Principe delle arti” è prodotto da Sky, in collaborazione con i Musei Vaticani e Magnitudo Film ( 2017, durata 95’)
Con l’attore e regista Flavio Parenti, nei panni di Raffaello, mentre la Fornarina compare con due cammei di Angela Curri. Enrico Lo Verso è Giovanni Santi, Marco Cocci è Pietro Bembo. Scenografia e costumi sono curati da due eccellenze del cinema italiano, Francesco Frigeri e Maurizio Millenotti.
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