
In questo tempo dove non c’è più spazio per ideali né tanto meno per utopie, abbiamo voluto mettere in scena il sognatore per eccellenza, il prototipo del visionario, del poeta, del folle utopista. La storia, ironica e malinconica al tempo stesso, si muove idealmente tra una Spagna immersa nel tramonto dei grandi ideali che avevano animato il Secolo d’Oro, annientati da uno spiccato materialismo nascente, e un’Italia (o forse un’Europa, un Occidente intero?) che di fatto è ancora vittima della lunghissima onda provocata da quella stessa decadenza.
Una decadenza e una sconfitta che in questo Don Chisciotte è al tempo stesso sociale, ma forse soprattutto personale. Don Chisciotte si arma cavaliere con il sogno impossibile di difendere i deboli e punire le ingiustizie, eroe solitario e ramingo, per ritrovarsi infine in un mondo che non riconosce più. E’ allora inevitabile la sconfitta: Don Chisciotte ed il suo fedele scudiero Sancio Panza si abbandoneranno ad una vita errabonda alla ricerca di quel regno, ormai irraggiungibile, che il Cavaliere Errante aveva promesso al suo scudiero. Tra il pubblico si materializzano di volta in volta i giganti, i mulini a vento e, infine, Dulcinea: il sogno d’amore, mai realizzato, di un uomo giunto al tramonto della propria vita.
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